13 Aprile 2015 ARTICOLI

Alda Trifiletti

Dottoressa Alda Trifiletti, specializzata in Glottodidattica Infantile alla Sapienza di Roma titolare del centro linguistico The Bilingual Bridge di San Mauro Torinese, insegna inglese a bambini e ragazzi, strutturando percorsi personalizzati e utilizzando il metodo Hocus&Lotus, Jolly Phonics ecc.. , fornisce consulenze agli istituti scolastici per implementare progetti di bilinguismo.

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Esposizione alla seconda lingua oppure ossessione?

Nelle nostre avventure sul bilinguismo abbiamo più volte ripetuto quanto sia fondamentale offrire ai nostri figli un’esposizione quanto più possibile quotidiana alla seconda lingua al fine di ottenere risultati efficaci sotto il profilo dell’apprendimento (per approfondimenti vedere qui e qui).

Bene quindi, da genitore consapevole di questa importanza, che faccio? Preso atto che non sempre l’inglese definito “scolastico” è sufficiente per lo standard di competenze linguistiche richieste dal mondo moderno, iscrivo il bambino a tre corsi di inglese la settimana, lo iscrivo al centro estivo in lingua eccetera, perché: “Non voglio mica che si riduca come me! Ho sempre odiato le lingue e non ci sono proprio portato!”

Attenzione, questo eccesso di zelo improvviso e repentino rischia di generare nel pargolo l’effetto opposto. Vediamo di analizzarne i motivi e focalizziamoci sugli aspetti più importanti che stanno alla base di qualunque apprendimento: la relazione affettiva e la motivazione.

Iniziamo con lo sfatare un ulteriore falso mito: dire che una persona non è portata per le lingue è un po’ come dire che il cervello umano non è “portato” per la comunicazione verbale. Ecco questo non è possibile! Qualunque individuo, fatte salve patologie neurologiche, esposto in maniera costante e continuativa fin dalla tenera età a diversi idiomi è in grado di apprenderli in maniera assolutamente naturale. Se la seconda lingua è stata appresa in maniera inefficace, non è di certo colpa della persona in questione, bensì del metodo utilizzato e delle modalità relazionali attraverso le quali la lingua è stata veicolata.

Ciò detto, passiamo all’aspetto inerente alla motivazione che dovrebbe spingere un bambino ad imparare una seconda lingua. La motivazione va sempre ricercata nella necessità/voglia di comunicare con una persona; se la persona in questione parla una lingua straniera ed io ho piacere di svolgere un’attività con lei/lui ecco che accetterò di buon grado di sforzarmi per poter partecipare attivamente a quella data attività. E per far sì che i bambini abbiano piacere di svolgere un’attività in lingua straniera è fondamentale instaurare con loro una buona relazione affettiva. Si tratta della magia dell’affetto, come dicevamo qui.

Ma tutto ciò riguarda gli insegnanti, direte voi, mica noi genitori. Noi li iscriviamo a quanti più corsi possibili e siamo a posto, al limite dobbiamo verificare la bontà del metodo utilizzato! Invece no, non è così facile.

Così come abbiamo fatto con i nostri figli quando li abbiamo lasciati per la prima volta all’asilo nido o alla scuola materna dopo un “inserimento”, che null’altro è se non un “passaggio di consegne” tra la relazione affettiva che hanno con noi e quella che stanno instaurando con le educatrici, dobbiamo curarci dell’aspetto psicologico che sta alla base della motivazione per la quale chiediamo loro lo sforzo di abbandonare tutte le certezze linguistiche conquistate fino a quel momento e ripartire da zero! Ci rendiamo conto? Da zero!

Ricordiamo sempre che questo lavoro sulla motivazione aumenta in modo direttamente proporzionale all’età dei nostri figli ed alla competenza linguistica che hanno raggiunto in lingua madre, quindi la strategia migliore è sempre: iniziamo ad esporli alla seconda lingua fin dalla culla e l’aspetto motivazionale sarà molto più facile da alimentare e sostenere durante la crescita.

Ma torniamo all’ipotesi proposta all’inizio: bambino in età di scuola primaria o fine scuola dell’infanzia. Come faccio a fargli accettare di buon grado che, di punto in bianco, la TV sarà in inglese, i libri anche e persino i suoi cartoni animati preferiti? Oltre alle attività pomeridiane in inglese? Semplice: non farlo di punto in bianco! Così come non l’abbiamo lasciato al nido a 12 mesi senza un “inserimento” graduale. Badate anche che la motivazione: “Se non sai l’inglese non troverai lavoro” non funziona gran che. Ai bambini vanno date spiegazioni che siano alla loro portata.

Quindi, iniziamo a prepararlo in maniera positiva al corso che abbiamo scelto. Dobbiamo essere noi per primi convinti del corso e informati sulle modalità di svolgimento, in modo da veicolarlo ai nostri figli con il giusto entusiasmo. Anche qui, non è che lasciamo loro totale libertà di scelta, ma li guidiamo nella scelta, in modo consapevole, sereno e positivo. Avremmo mai lasciato loro la scelta se frequentare il nido o meno? No, anche perché, in molti casi (i miei figli compresi) se avessero deciso loro all’inizio non ci sarebbero proprio andati! Dopo l’inserimento è stata tutt’altra musica.

Cerchiamo di lasciare comunque spazio ai nostri figli per le attività che a loro piace fare e non sostituiamole tutte con l’inglese. Favorirete meglio l’efficacia nell’apprendimento di un corso fatto bene, piuttosto che due fatti di malavoglia, rischiando anche di trasformare l’inglese in un ostacolo contro cui lottare, come magari è stato per voi.

Per i materiali a casa, privilegiate sempre i corsi strutturati in modo tale da offrirvi dei materiali didattici da utilizzare a casa (come Hocus&Lotus) i quali vi saranno di grande aiuto; poi non sostituite di colpo la lingua di programmi TV e videogiochi, ma a mano a mano che i vostri figli miglioreranno la competenza nella seconda lingua potete proporre loro materiali nuovi (ad esempio nuovi DVD o nuovi libri) che siano più o meno alla loro portata. Fatevi aiutare dagli insegnanti di lingua nella scelta.

Insomma, niente panico and “take it easy”, ossessionarsi e ossessionarli non produce mai buoni risultati.

See you all in the next adventure.


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