18 Luglio 2014 ARTICOLI

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Sei capolavori in cerca d’amore

Ognuno di noi ha una mappa nel cuore. La Pirì se ne accorge soprattutto quando girà la città con i suoi bambini. “Guardate: la mia scuola elementare! La discoteca dove ho conosciuto papà! Laggiù facevo nuoto! Lì la nonna ne ha combinata una grossa….”.  

La Pirì ha due bambini pazienti. Di solito annuiscono due o tre volte prima di sbottare: “Mamma ce l’hai già detto dieci volte!”.  Ma è difficile resistere alla nostalgia. Ogni punto è una tappa della nostra vita e, anche se crescendo i segni si moltiplicano, le linee si annodano e i ricordi si ingarbugliano, alcuni luoghi restano dentro.

E così ci si inventa sempre nuovi motivi per tornare.

Palazzo Civico Torino I sei dipinti in mostra a Palazzo Civico (fino al 7 settembre) non sono solo dei capolavori, ma sono un “pezzo” di Pinacoteca Sabauda.Questo, il “luogo del cuore” in questione: una raccolta strepitosa, distribuita fino a qualche anno fa in un edificio prestigioso (Palazzo dell’Accademia delle Scienze) e allestita secondo criteri avveniristici (per i tempi).

La Pirì studentessa vi passava le ore. Andava, tornava, ri-andava…

D’altra parte non poteva fare altrimenti! In quegli anni il museo non era mai aperto tutto contemporaneamente: un giorno si poteva accedere alle sale dei pittori piemontesi, ma non alle collezioni dei Savoia; il giorno dopo erano aperte le sale degli italiani, ma erano chiuse quelle dei fiamminghi. Quando poi – miracolo – trovavi aperta l’incantevole collezione Gualino … era chiuso tutto il resto! (O quasi).

Finalmente, a dicembre questa raccolta ancora troppo poco conosciuta, troverà sede definitiva nella cosiddetta Manica Lunga, accanto al Duomo (dove in questi ultimi anni è stata esposta una selezione di pezzi). Nel frattempo, per non farci perdere la memoria e alimentare l’orgoglio di avere in casa opere importanti e suggestive, la Sabauda va in tournée, in 18 location del Piemonte. A Torino sono coinvolti Il Palazzo Reale, l’Armeria Reale, Il Palazzo Carignano, la Villa della Regina e, appunto il Palazzo Civico.

Qui si fronteggiano Jan van Eyck , Beato Angelico, Lo Schiavone da un lato; Rembrandt, Guido Reni, Nicolas Poussin, dall’altro.

I tre pittori del Quattrocento sono rappresentati da pezzi magnifici.

1) Le stigmate di San Francesco di Jan Van Eyck, 1430 circa.

Avvicinatevi più che potete (tenete pancia e naso in dentro!). Ora osservate attentamente: ogni dettaglio di questa tavola è nitido. Anche gli uccelli in volo, le erbe sul prato, il sangue che macchia la pelle del santo e le punte di quegli edifici laggiù che ci raccontano di un paese lontano.  Non è certo Firenze, non è Roma! Siamo al nord, nelle Fiandre dove qualcuno aveva trovato un nuovo legante per i colori: l’olio. Ogni pittore aveva la sua ricetta, ma quella di Van Eyck era fenomenale. I pigmenti scivolavano fluidi fino alla punta dei suoi minuscoli pennelli e Jan poteva permettersi di trasformare in pittura tutto ciò che il suo occhio vedeva, ma proprio tutto! Come se osservasse il mondo con una grossa lente d’ingrandimento.  Per questo si definisce questo modo di dipingere “lenticolare”. Riusciamo persino a notare che san Francesco non si è rasato benissimo le basette e scorgiamo rughe sulla sua fronte e linee scavate sotto la pianta dei suoi piedi!

2) Beato Angelico, Madonna in trono, 1430-50

Beato Angelico, Madonna in trono, 1430-50Siamo negli stessi anni, ma lontanissimi dal punto di vista culturale! Guido da Fiesole, detto Beato Angelico è un uomo del Rinascimento. È vero usa ancora l’oro, perché così vogliono i committenti dei quadri religiosi, ma la sua Madonna è solida, come una statua di mater (= madre) romana. Il bambino è già un piccolo eroe con un accenno di addominali sul corpo chiaro, tornito dall’ombra. L’ambiente è costruito su una prospettiva scientifica e il cuscino su cui siede la Vergine poggia solido sul pavimento in marmo. Guido aveva visto le opere di Masaccio nella cappella Brancacci, quell’Adamo e quella Eva tutti nudi e scuri per la vergogna del peccato; qui santi potenti e severi, simili ai filosofi antichi e, a Santa Maria Novella, quella cappella che sembrava vera, ma invece è dipinta. Pochi fronzoli, ragazzi, siamo a Firenze! Siamo pittori, ma anche studiosi e matematici. Non vediamo il cupolone del Brunelleschi ma è come se fosse qui, alto e impossibile, sopra le nostre teste.

3) Giorgio Culinovic detto Lo Schiavone, Madonna con Bambino, 1460 circa.

Giorgio Culinovic detto Lo Schiavone, Madonna con Bambino, 1460 circaUn decina di anni più tardi e quattrocento chilometri più a nord troviamo al lavoro lo Schiavone, cioè lo “Slavo”. L’Adriatico veniva solcato da navi, da pittori e da tante idee! La cultura viaggiava veloce anche a quei tempi e Giorgio era arrivato a Padova per studiare arte con un maestro rinomato lo Squarcione e un compagno che sarebbe diventato un gigante dell’arte: Andrea Mantegna.

Squarcione era un tipo strano, pare addirittura che sfruttasse i suoi collaboratori e come pittore era piuttosto scarso. Ciò che però gli fa onore è che aveva un metodo didattico strepitoso. “Ragazzi non guardate me, guardate le opere degli antichi”. Così i ragazzi studiavano tutto ciò che il territorio restituiva: copiavano archi trionfali, sarcofagi, statue e disegnavano festoni e motivi a cadelabra. Avevano anche un grande scultore sul territorio, Donatello. Sarà per quello che la Madonna sembra di pietra, la mano si attacca contorta al polso. Sullo sfondo un arco trionfale ornato di motivi classici. Questo stile duro verrà superato da quello morbido in arrivo da Venezia e dal centro Italia. Chi non si aggiorna smette di lavorare o si sposta verso centri minori. Lo Schiavone tornerà nei Balcani dove si dedicherà al commercio, dipingendo ancora per passione, qualche opera affascinante e senza tempo.

4) Rembrandt van Rijn, Ritratto di vecchio dormiente, 1629.

Rembrandt van Rijn, Ritratto di vecchio dormiente, 1629.Ci giriamo e ci ritroviamo nel Seicento.  Il primo quadro è piccolino e contrasta con gli altri due. È una chicca preziosa. È un Rembrandt. Nelle collezioni pubbliche italiane ce ne sono pochissimi: tre agli Uffizi e uno qui, in Sabauda. Rembrandt lo dipinge quando è un ragazzo di belle speranze. Ha ventitre anni ed ha appena aperto bottega a Leida con il suo amico Lievens. È un giovane ambizioso e geniale. Riesce a emozionare con pochi toni di marrone e una incredibile luce dorata. Il contrasto luce ombra non è violento come in Caravaggio (le cui opere non vide mai), ma è morbido e avvolgente. Chi è questo vecchio? Un personaggio biblico, magari un profeta; o un’allegoria dell’inverno, come indicherebbe il fuoco acceso. Vuoi vedere che è un ritratto scherzoso di Jacob de Gheyin III, artista benestante, noto in tutta Leida per la sua pigrizia? “L’uomo pigro tien la man in seno” si diceva a quei e tempi, e dove tiene la mano il personaggio che stiamo guardando?

5) Guido Reni, San Giovanni Battista, 1630.

Guido Reni, San Giovanni Battista, 1630In quegli stessi anni in Italia era all’opera Guido Reni. Da ragazzino, all’Accademia dei Carracci, gli avevano spiegato che per diventare bravi non bisognava copiare Michelangelo o inventarsi composizioni difficili e artificiose come facevano i pittori poi definiti manieristi, ma studiare la natura, le persone vere e poi scegliere le parti migliori per i propri dipinti. Così il San Giovanni Battista (lo riconosciamo dalla croce e dalla pelle animale che lo veste), è disegnato in maniera impeccabile, è elegante nei tratti e perfetto nell’anatomia, ma non è freddo. I gesti sono naturali e contenuti, la sua espressione è sincera, i suoi occhi volti a Dio ci emozionano.

6) Nicolas Poussin, Santa Margherita di Antiochia, 1635.

Nicolas Poussin, Santa Margherita di Antiochia, 1635Infine Poussin, un francese innamorato della pittura italiana. Se n’era fatto un’idea ammirando gli affreschi lasciati nel castello di Fontainbleau dai manieristi italiani e studiando le incisioni tratte dalle opere di Raffaello, ma quando giunse a Roma capì che il suo destino era di rimanere e dare un suo personalissimo tocco all’arte del barocco. Poussin viene indicato come rappresentante della corrente “classicista”. Nel pieno del gusto spumeggiante, coloratissimo e impetuoso del barocco romano (Pietro da Cortona dipinge il soffitto di Palazzo Barberini nel 1639) le figure di Poussin ci appaiono solide e austere. Ombre e luci sono studiate scientificamente e la prospettiva è rigorosa. Santa Margherita esce dal corpo del drago come un’eroina classica: senza graffi e senza tremori! La leggenda racconta che fosse bastata la preghiera salvarla e per questo la santa venne invocata come protettrice delle partorienti: come Margherita dal corpo del mostro, anche i bambini sarebbero usciti indenni dal ventre delle loro madri.

Una piccola mostra, e quante parole spese!

Andate ad assaggiare la Sabauda, fino al 7 settembre, appena un morsetto, se siete golosi d’arte, troverete un gusto che non vi lascerà più!

L’ingresso alla mostra è gratuito, con orario lunedì al venerdì  dalle ore 11 alle 13 e dalle ore 16 alle 18, il sabato dalle ore 10 alle ore 12. E possibile prenotare una guida prenotandosi ai numeri 011 4422244 o 011 4422504 (dal lun–ven. 9-17.30 sab. 9-13).

Supequiz facile facile perché siamo in vacanza.

In quale dei sei dipinti in mostra si trova il dettaglio del piatto con la frutta? 

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Soluzione del quiz precedente La ragazza in vasca da bagno:

Nell’incantevole natura che fa da contorno alla sfortunata Ophelia troviamo:

3) Un pettirosso

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