17 Aprile 2014 L'ESPERTO RISPONDE

Flavia Cavalero

La dottoressa Flavia Cavalero è psicologa e psicoterapeuta. Cura la parte “psi” del sito www.psicomamme.it, svolge l’attività nel suo studio in via Bruino, 3 a Torino e si occupa di psicoterapia individuale e di gruppo nell'ottica del raggiungimento e del mantenimento del benessere psicologico. Riceve su appuntamento, tel. 333/3628327

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Bambino che imita tutto e tutti

Buongiorno, sono una ragazza che segue alcuni bambini di 3 e 4 anni durante un doposcuola.

Il mio compito non ha alcuna finalità scolastica, è una sorta di babysitteraggio, mi preoccupo comunque di essere una buona guida e di mantenere un comportamento educativo, anche semplicemente nel controllarli mentre giocano fra loro.

Ho una domanda da porvi perché non so come comportarmi con un bambino in particolare.

Ha circa 3 anni e mezzo e non fa altro che imitare di sana pianta tutti i suoni, le parole, i gesti ed i comportamenti di un altro bambino, il quale è, invece, molto concentrato su di sé. Questa imitazione è continua nelle due ore che è con me. So che l’imitazione è un fenomeno normale ed è anche il principio dell’apprendimento ed un modo di relazionarsi cogli altri, ma questo suo comportamento mi sembra veramente eccessivo e rende difficile la mia relazione con lui. Mi spiego: molto spesso non riesco ad avere da lui risposte soddisfacenti od ut  ili riguardo questioni banali, perché le sue risposte raramente sono sincere (o comunque è difficile sapere se lo sono), dal momento che risponde SEMPRE quel che rispondono gli altri. Quando poi è solo (quindi non può imitare nessuno) semplicemente non risponde alle mie domande. Rimane in silenzio a guardarmi e se io incalzo si sfrega le mani, guarda altrove e solo con difficoltà mi risponde. Parlo di domande semplici, tipo: “vuoi altri biscotti?”, “che cos’è che stai disegnando?”, etc… raramente riesco ad avere un vero e sincero colloquio con lui.

Devo dire che ci conosciamo da poco (lo vedo tutti giorni, due ore, da due settimane, prima ci vedevamo qualche giorno a settimana, da circa un mese e mezzo, ma in mezzo ad altri 30 bambini) quindi probabilmente ancora non ha rotto il ghiaccio con me. Per il resto mi sembra molto socievole, cerca sempre gli altri bambini, anzi, quando rimane solo sembra non saper che fare e si lamenta che vuole suo papà.

Mi chiedo se  io debba pretendere che faccia e dica le cose con la propria testa o se lo debba lasciar copiare in tutto e per tutto il suo amichetto, così come fa. Se invece glielo devo far notare, per cercare che esprima se stesso in maniera utile anche per le attività che dobbiamo fare, mi chiedo se ci sia un modo per esprimere questo concetto ad un bambino di 3 anni e mezzo. Mi è capitato di dirgli: “Non copiare X, dimmi quello che pensi tu!”, ma poi mi sono chiesta se la mia richiesta fosse fuori luogo o se lo avessi fatto sentire colpevole o in imbarazzo per qualcosa che fa spontaneamente.

Ho anche un’altra domanda: a volte l’ho messo in punizione perché aveva trasgredito delle regole. L’ho messo in punizione solo dopo una reiterata trasgressione della stessa regola (regola che conosce, su cui l’ho messo in guardia anche solo in attimo prima). La punizione consisteva nel mettersi seduto, fermo, in un attimo di silenzio per poi ragionare insieme sul comportamento. Ho sempre  pensato che il momento di silenzio potesse servire a “fissare” la punizione come conseguenza di quel comportamento sbagliato, che potesse dunque fruttare come insegnamento, insieme al parlarne poi insieme. Ciò che mi stupisce è che dopo pochi secondi dalla punizione, alla mia domanda: “sai perché sei in punizione? Cos’hai fatto che non dovevi fare?” lui puntualmente risponde di aver fatto qualcosa che in realtà non ha fatto. Mi spiego meglio: lo metto in punizione perché ha rotto un giocattolo, lui mi risponde che sta in punizione perché ha picchiato un amichetto. In effetti molto spesso picchia quell’amichetto e io lo riprendo per questo, ma non è il motivo per cui lui è in punizione in quel momento. E dovrebbe saperlo visto che lo riprendo per il comportamento sbagliato prima di metterlo in punizione (e molto spesso mi guarda mentre lo compie). Tutto questo mi fa pensare che non abbia cognizione di quel che fa e che gli accade, o che non sia concentrato, e ch  e la punizione è inutile, se non capisce perché gliela impartisco… mi sembra strano, perché cogli altri bambini, in realtà, il dialogo funziona benissimo, se li riprendo per un atteggiamento sbagliato e poi li metto a sedere, dopo pochi secondi, alla mia domanda sul perché li ho ripresi, loro rispondono coerentemente, mostrandomi di “sapere” che quel comportamento non andava fatto. Non voglio sembrare di pretendere troppo, è solo il modo istintivo con cui io cerco di avvicinare bambini così piccoli alla comprensione delle regole…mi sbaglio? Scusi per la lungaggine…

Nella sua lettera trovo più di una domanda, la prima riguarda il comportamento del bambino, la seconda riguarda l’uso della punizione, la terza riguarda le regole e forse ce n’è anche una quarta non detta – latente “sono una brava educatrice”?

Per quanto riguarda la prima domanda le suggerisco di dare una lettura a questi link che ho trovato molto interessanti e che riguardano le fasi di sviluppo secondo Piaget, Vygotsky ed altri teorici dell’età evolutiva.

http://www.homolaicus.com/teorici/piaget/piaget.htm

http://galileo.cincom.unical.it/professors/libri/gioco/CAPITOLO%20SETTIMO.htm

http://www.nicolalalli.it/pdf/piaget.pdf

Inoltre le suggerisco di parlare con i genitori del bambino che sapranno dirle se questa è una modalità che lui usa abitualmente o se è una modalità che mette in atto solo in luoghi che non conosce o altro e, insieme a loro, potrete venire a capo del motivo di tale comportamento.

La seconda domanda riguarda l’uso delle punizioni, in proposito personalmente non sono favorevole a questa metodica che ritengo essere più repressiva che educativa e in modo particolare non ne sono favorevole specialmente quando il bambino in questione mostra di avere delle difficoltà (o pensiamo che possa averle). Questa però è una linea di pensiero che ha un valore del tutto soggettivo.

Arriviamo alla terza domanda, quella sulle regole. Come ben sappiamo sono indispensabili a tutte le età, ma per essere efficaci devono essere chiare, cioè adeguate al livello di comprensione dell’individuo, condivise, cioè non imposte senza ragione apparente, affrontabili cioè la persona deve poterle rispettare, imparziali cioè devono valere per tutti, non devono essere soffocanti né infinite.

Infine la domanda mai posta ma letta tra le righe a causa di una deformazione professionale da psicoterapeuta: è bellissimo vedere che una ragazza ha così a cuore il proprio lavoro e che è guidata da una curiosità positiva che la spinge a cercare informazioni. Buon lavoro.

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