Con la storia di un brigantino, il Beagle, che a inizio Ottocento salpa dall’Inghilterra verso la Terra del Fuoco con l’intento di andare a vedere da vicino i “selvaggi”, prelevarne un esemplare e condurlo nella patria della civiltà con l’esplicito proposito di rieducarlo.
Un tipico esempio di quello sguardo paternalista e razzista che i nuovi allestimenti museali volevano appunto spazzare via.
Potete, quindi, immaginare il mio stupore quando, in una libreria per bambini di Torino, m’imbatto in questo libro dove gli occhi e i capelli scuri di un ragazzo spiano il lettore dalle fronde di una fitta foresta e il titolo “Jemmy Button. Il ragazzo che Darwin riportò a casa” mi accendono una luce e un ricordo.
Chi l’avrebbe mai detto che quella vicenda raccontata nelle prime pagine della mia tesi sarebbe finita anche in un albo illustrato? Nessun merito personale, è ovvio, ma solo il piacere, immenso, di vedere così magistralmente narrata una storia che, fin dalla copertina, parla del potere dello sguardo e di quel binomio cultura-natura sul quale esperti di tutte le discipline si arrovellano da decenni.
Apro la prima pagina e sono già innamorata. Il più classico degli incipit “C’erano una volta, tanto tempo fa, un’isola lontana e un ragazzo” si confonde con la profondità di un cielo stellato. Sotto quella coperta di luci, lassù sulla cima di un albero, il nostro protagonista osserva la notte, ascolta il rumore del mare e immagina come sarebbe vivere dall’altra parte del mondo.
Senonché l’altra parte del mondo arriva da lui. Indossa abiti eleganti e cilindri, offre al ragazzo di realizzare il suo sogno e lascia alla famiglia una perla in cambio. Il giovane, proprio in virtù di quello scambio, diventa “Jemmy Button” e il suo viaggio verso l’ignoto inizia.
Il mondo che Jemmy incontra è una scoperta continua. Il suo modo di osservare la realtà è come quello di un bambino che apre per la prima volta gli occhi su ciò che lo circonda e lo guarda con un misto di stupore e soggezione. Ci sono case fatte di pietra, stoffe e tessuti eleganti, voci e lingue sconosciute, soprattutto ci sono persone, tante persone.
Ma non ci sono gli alberi e i rami, mancano le stelle, non c’è quella sensazione unica per ognuno di noi di sentirsi a casa.
Così Jemmy decide di tornare indietro, insieme a Charles Darwin che avrebbe voluto documentare il modo con cui lui avrebbe interagito con la sua vecchia realtà, magari cambiandola e adattandola al suo nuovo stile di vita.
Ed eccolo lì quel binomio impossibile da conciliare. Forse perché non esiste natura senza cultura e viceversa, forse perché ciò che ai nostri occhi appare rozzo e selvaggio è in realtà civiltà, famiglia, tradizioni, affetto. Poco importa se senza abito elegante, baffi e cilindro. Ciò che conta davvero è che ogni viaggio, per definirsi tale, ha bisogno di un’andata e di un ritorno perché solo da questa duplice prospettiva si comprende il valore di ciò che si possiede
Vi invito a perdervi nelle illustrazioni, bellissime. Ci sono pagine in cui sono solo loro a parlare, pagine immense dove il semplice blu del mare riassume tutta la nostalgia e la lontananza tipici del viaggio, pagine dove la sagoma di Jemmy è una macchia distinta e che già in questo modo riassume l’assurdità della pretesa di trasformare un individuo in qualcos’altro.
Anche quando si è sospesi tra due mondi, si può restare se stessi.
Segnalo il sito di Jennifer Uman e il blog di Valerio Vidali che hanno illustrato insieme il libro.