A fronte di una normativa che nel tempo ha mostrato diverse criticità, sono stati proprio i giudici a trovare delle soluzioni di equilibrio a tutela di due sfere di interesse così importanti e delicate.
Ma procediamo con ordine e ricostruiamo per tappe la storia di un un’ipotetica madre che desidera rimanere anonima e di quel figlio che nasce e poi cresce con il desiderio di riagganciarsi alla propria identità biologica.
Una donna è in procinto di mettere al mondo un bambino ma la sua volontà è quella di partorire nell’anonimato
La Legge italiana prevede che una donna, al momento del parto, possa dichiarare la volontà di rimanere anonima. Questa facoltà è stata introdotta con la finalità di tutelare la salute sia della donna che del nascituro; viene, infatti, offerta alla donna che non voglia essere riconosciuta, la possibilità di partorire in una struttura sanitaria adeguata e garantire al bambino tutte le cure del caso, con l’obbiettivo di evitare situazioni clandestine sicuramente più rischiose sia per la puerpera che per il neonato.
L’art. 30 del DPR n. 396 del 2000 prevede al primo comma che “La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”.
Il diritto a partorire nell’anonimato vale sia per la madre che partorisce nel matrimonio, che per il parto fuori dal matrimonio.
E‘ comunque assicurato un raccordo tra il certificato di assistenza al parto privo dei dati identificativi della donna con la cartella clinica custodita presso il luogo dove è avvenuto il parto. Ciò rende sempre tecnicamente possibile l’individuazione della madre biologica.
Le generalità della partoriente saranno accessibili solo dopo cento anni.
Unica eccezione: in base alla previsione contenuta nell’art. 9 della legge 11 febbraio 2004, n. 40 sulla procreazione assistita la madre del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita non può manifestare la volontà di non essere nominata. Si tratta di un divieto motivato dall’intento di responsabilizzare chi opera tale scelta procreativa.
– La donna partorisce, il piccolo viene alla luce e così comincia il suo cammino di vita
Successivamente al parto anonimo avviene l’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il locale Tribunale per i Minorenni che, ricevuta la segnalazione, provvede “immediatamente” alla dichiarazione dello stato di adottabilità “senza eseguire ulteriori accertamenti” con successiva individuazione di un’idonea coppia adottante.
Quando avviene la segnalazione dello stato di abbandono, e in ogni successiva fase, devono essere omessi gli elementi identificativi della madre.
– Poi il piccolo cresce e cresce in lui il desiderio di rintracciare la propria madre biologica
L’art 28 della legge n. 184/1983 (sull’adozione) riconosce, al quinto comma, il diritto potestativo dell’adottato ad avere accesso alle informazioni relative ai genitori biologici una volta compiuto il venticinquesimo anno di età, ma prosegue la legge, salvo il limite posto dal comma 7, ossia quando la madre abbia dichiarato al momento del parto di rimanere anonima.
La norma, dunque, impone un limite assoluto alla conoscenza dell’identità della madre nel caso di dichiarazione in tal senso da parte di quest’ultima.
Questo enunciato normativo è stato oggetto di dichiarazione di illegittimità costituzionale nella parte in cui non è previsto un “interpello” (Corte Cost., n. 278 del 2013).
Con tale pronuncia la Consulta ha introdotto il principio secondo cui il figlio può chiedere al giudice di far interpellare la madre ai fini della revoca della dichiarazione di anonimato, a suo tempo fatta.
Dopo alcuni anni di incertezza applicativa in cui, nonostante l’autorevole intervento della Corte Costituzione, molti Tribunali continuavano a respingere le istanze in tal senso, arriva la sentenza n. 1946 del 25 gennaio 2017 della Corte di Cassazione che, a sezioni unite, così afferma: “… sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di eventuale revoca di tale dichiarazione … fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia stata rimossa a seguito dell’interpello e sussiste il diniego della madre di svelare la propria identità”.
Oggi, in estrema sintesi, succede questo: il figlio che voglia conoscere le proprie origini si rivolge al Tribunale dei minorenni e quest’ultimo interpella la madre biologica chiedendole se intende o meno revocare il proprio anonimato.
A questo punto gli scenari possibili sono due: se la madre revoca l’anonimato il figlio avrà la possibilità di conoscere la sua identità; se la madre decide, invece, di non revocare l’anonimato, il figlio nulla potrà più fare e dovrà arrendersi al diniego.
A meno che la madre naturale non sia mancata, in questo caso è diritto del figlio biologico dato in adozione venire a sapere chi fosse. La morte della mamma non deve bloccare l’accesso ai suoi dati; in questo caso attendere i 100 anni previsti dalla legge si tradurrebbe, di fatto, in una definitiva perdita di speranza di conoscere le proprie origini biologiche. Questo principio lo ha stabilito per la prima volta nel 2016 la Corte di Cassazione e da allora tale orientamento è stabilmente maggioritario.
Il figlio ha una necessità di ordine medico
Il figlio non solo nutre il desiderio di conoscere la propria madre naturale ma ha anche una stringente necessità di ordine medico ad avere informazioni sulla sua identità biologica
In questa situazione si vedono contrapposti due diversi interessi: da una parte il diritto della donna al proprio anonimato e dall’altra il diritto alla salute e alla vita del figlio.
Di recente (ordinanza del 9 agosto 2021), la Cassazione, sul solco di precedenti interventi giurisprudenziali, ha chiarito in che modo è possibile bilanciare le due opposte posizioni affermando che : “la domanda di accesso alle informazioni sanitarie sulla salute della madre, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di malattie ereditarie trasmissibili, è ulteriore e distinta rispetto a quella di puro accesso alle origini, avendo come finalità la tutela della vita o della salute del figlio adottato o di un suo discendente. Il diritto va garantito, con modalità tali, però, da tutelare l’anonimato della donna.
Pertanto, qualora vi siano necessità di ordine medico ma la madre interpellata persista nell’intenzione di rimanere anonima, il figlio potrà domandare quantomeno l’accesso a quei dati sanitari che gli consentono di tutelare il proprio diritto alla salute, pur rimanendo segreta l’anagrafica della madre.
A parere della Suprema Corte, però, non si deve consentire un accesso indiscriminato alla documentazione sanitaria, sarà garantito un diritto alle predette informazioni, “sulla base di un quesito specifico, non esplorativo, relativo a specifici dati sanitari e con l’osservanza di tutte le cautele necessarie a garantire la massima riservatezza e quindi la non identificabilità della madre biologica”.
E nel caso di adozioni internazionali?
Si ricorda, sul punto, l’art. 30 della convenzione dell’Aja il quale impone agli Stati contraenti di assicurare la conservazione di ogni informazione disponibile sull’origine del bambino e, in particolare, sull’identità dei suoi genitori e sull’anamnesi sanitaria; gli Stati firmatari devono, inoltre, fornire l’opportuna assistenza e guida all’adottato nell’accesso a tali informazioni nei limiti consentiti dalla legge dello Stato interessato.
In conclusione, un auspicio
Dall’analisi della normativa e delle numerose pronunce intervenute sulla materia, emerge la necessità di un intervento chiarificatore da parte del legislatore. Se è vero che la giurisprudenza ha fatto la sua parte per cercare di mantenere un giusto equilibrio tra il diritto alla ricostruzione identitaria dell’adottato e il diritto all’anonimato, è altrettanto vero che non si può più prescindere da un intervento legislativo che dia una disciplina uniforme ad un tema così complesso e delicato.
Avv. Maria Ferrara
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