11 Luglio 2013 ARTICOLI

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Muoio dalla voglia di conoscerti

Autore
Aidan Chambers
Casa Editrice
Rizzoli
Collana
Narrativa Ragazzi
Anno prima edizione
2012
Pagine
294
ISBN
9788817057318

Era da un po’ di tempo che desideravo leggere un libro scritto da Aidan Chambers, pluripremiato autore di libri per ragazzi, e in più c’era la curiosità suscitata in me dal suo ultimo libro pubblicato dalla casa editrice Rizzoli del quale avevo ascoltato la presentazione durante i giorni del Salone del Libro di Torino.

Davanti a una folla di bambini e adolescenti, Chambers si era prestato alle loro domande, parlando di sé, del libro, del suo modo di scrivere e narrare in modo semplice e schietto, da grande professionista della parola qual è.

La storia che racconta in “Muoio dalla voglia di conoscerti”, poi, m’interessava perché metteva in primo piano il tema ambiguo e spesso soggetto a banali interpretazioni della dislessia, patologia di cui peraltro soffre lo stesso autore e che quindi nel libro viene raccontata in modo molto intimo, toccante e vero.

I protagonisti sono due persone potenzialmente agli antipodi: un apprendista idraulico dai modi all’inizio un po’ impacciati e un anziano scrittore (difficile non vederci lo stesso Chambers) che ha dedicato tutta la sua vita ai libri e alla letteratura. L’incontro tra i due, a suon di un botta e risposta iniziale dai toni esilaranti, è dovuto a una ragazza, la donna di cui si è invaghito il giovane Karl, la quale vorrebbe che il suo spasimante raccontasse di sé e dei suoi sentimenti attraverso la scrittura e che ha preparato per lui una lista di domande a cui dovrebbe rispondere.

Fiorella, questo il nome della fanciulla, non sa però che Karl è dislessico e che i pensieri, prima di raggiungere la carta, si aggrovigliano e si contorcono tanto che il ragazzo dichiara subito allo scrittore il proprio odio per la parola scritta. Ha bisogno di lui, della sua esperienza che proprio Fiorella, fan dei suoi libri, gli ha raccontato. Vorrebbe, insomma, che scrivesse le risposte alle domande al posto suo, trasferendo il suo pensiero sulla carta.

E lo scrittore, voce narrante della storia, si lascia convincere, fin dal primo dialogo con Karl coglie qualcosa dietro il suo fare timido e ritroso e capisce che quel ragazzo dai modi un po’ diretti e bruschi è un pozzo infinito d’idee ed emozioni che meritano di essere scoperte.

Inizia così un lento e a volte difficile percorso di conoscenza reciproca, non è un’amicizia che sboccia di colpo, ma un rapporto che si crea a piccoli passi, quelli che Karl, abituato alle prese in giro e adeguatosi a una sensazione di perenne fallimento per via del suo problema, concede al narratore che, con la saggezza tipica di chi ha qualche anno di più, riesce a cogliere e calibrare nel modo giusto. E’ una relazione che scorre lenta, ha molti silenzi che però sono gravidi di pensieri e che, con la scusa iniziale delle lettere a Fiorella, in realtà lega i due inesorabilmente.

Karl impara a fidarsi, apre il suo cuore rivelando la sua ferita più grande dovuta alla morte del padre quando lui aveva solo 12 anni e lo scrittore diventerà un confidente leale che proprio grazie al ragazzo ritrova la forza di vivere e di raccontare.

Potrebbe sembrare una semplice storia d’amore tra due ragazzi che d’amore sanno ancora poco, ma in realtà è tutta una cornice. Le sedute di pesca in mezzo ai boschi, le chiacchierate in cucina, la scoperta della vera vocazione di Karl: sono queste le vere redini del romanzo, redini che alla fine imbrigliano anche chi legge e che questo giovane e questo vecchio ha imparato ad amarli per quello che sono, con i loro pregi e i loro difetti.

Questo libro che nel titolo sembra parlare di morte è in realtà una rinascita, un viaggio profondo che i due protagonisti, grazie all’aiuto reciproco, compiono dentro se stessi per scoprire i propri limiti, superarli e tornare in superficie.

E’, infine, un invito e un augurio a che ogni giovane riesca non solo a fare i conti con le proprie debolezze, ma anche a riuscire a dare corpo e voce alle proprie passioni. Spesso ce le teniamo dentro perché temiamo il fallimento o l’incomprensione di chi ci sta vicino.

Bisogna osare perché solo in questo modo saremo veramente noi stessi.


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