Il primo passo per aiutare l’altro è entrare in relazione con lui, con l’obiettivo principale di migliorare la sua qualità di vita, secondo le proprie competenze.
Il mediatore svolge un ruolo di aiuto, di supporto, non di sostituzione: come la mamma che accompagna il bambino ai primi passi non gli spiega come si fa a camminare, ma gli dà la mano, lo sorregge prima fisicamente poi con lo sguardo, così il mediatore non ha lo scopo di risolvere il problema, ma di mettere l’altro nelle condizioni di risolverlo da solo.
Il riconoscimento delle emozioni e l’aiuto a identificare le risorse di ognuno, oltre che i bisogni, sono gli obiettivi che caratterizzano la figura del mediatore familiare. Egli, infatti, lavora fra imparzialità e potenziamento delle capacità personali delle parti, entrambi principi chiave del suo codice deontologico.
Pensare che i mediatori possano essere totalmente imparziali e contemporaneamente fornire a entrambe le parti lo stesso grado di consolidamento è ingannevole. L’imparzialità del mediatore si realizza in un quadro più ampio, poiché permette di intervenire con maggiore vicinanza verso uno dei partecipanti in un particolare momento, ma mantenendo globalmente e al tempo stesso l’equilibrio tra le posizioni.
Nella risoluzione dei conflitti familiari, il mediatore non si accontenta di raggiungere una seppur difficile “equidistanza”, ma si pone l’ambizioso obiettivo dell’equivicinanza.
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