17 Marzo 2015 ARTICOLI

Alda Trifiletti

Dottoressa Alda Trifiletti, specializzata in Glottodidattica Infantile alla Sapienza di Roma titolare del centro linguistico The Bilingual Bridge di San Mauro Torinese, insegna inglese a bambini e ragazzi, strutturando percorsi personalizzati e utilizzando il metodo Hocus&Lotus, Jolly Phonics ecc.. , fornisce consulenze agli istituti scolastici per implementare progetti di bilinguismo.

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Il bilinguismo conta sempre!

Prima di intraprendere l’avventura del bilinguismo di questo mese, ricordo che la mia collaborazione con Torinobimbi è iniziata un anno fa. Ringrazio tutti coloro che mi hanno letta in questi 12 mesi, coloro che hanno condiviso i miei articoli e la redazione di Torinobimbi per aver creduto in questo progetto.

Nella precedente avventura abbiamo sottolineato quanto il bilinguismo sia una ricchezza per il cervello dei singoli, in quanto conoscere e parlare almeno due lingue favorisce nettamente la flessibilità mentale. In questa avventura cercheremo di sfatare qualche mito e affievolire qualche altro pregiudizio che talvolta frena la diffusione del plurilinguismo nella nostra società.

Abbiamo detto che “il plurilinguismo sociale è una ricchezza, sempre e comunque, qualunque siano le lingue interessate (italiano, inglese, arabo, tedesco, cinese). Anzi più le lingue apprese sono diverse tra loro, maggiore sarà l’esercizio cerebrale che il bambino dovrà fare.”

Bene, allora se ciò è vero perché talvolta siamo preoccupati se nella classe dei nostri figli vi sono bambini bilingui? Perché è ancora tanto diffusa l’idea che la presenza di bambini, naturalmente bilingui, possa inficiare il “regolare apprendimento della lingua italiana” sia da parte loro sia da parte dell’intera classe? Perché spesso si hanno delle reticenze a proporre una terza lingua ai bambini bilingui?

Ci ricordiamo quanto dice la Dott.ssa Livia Daveri (Direttore dell’Ufficio per l’Educazione e Sviluppo dell’Infanzia a livello primario interculturale al Landesweite Koordinierungsstelle der Kommunalen Integrationszentren della Nord Reno Westfalia)?

Il fatto che una nuova lingua possa “disturbare” l’apprendimento di un’altra è un’idea ormai sorpassata e addirittura la ricerca ha dimostrato l’esatto contrario.

e ancora:

Il fatto quindi che un bambino ancora “insicuro” in una qualsivoglia lingua inizi l’apprendimento di un’ulteriore lingua non ha nessun effetto negativo, anzi il fatto di apprendere un’ulteriore lingua sfrutta, attiva, esercita ed aumenta la plasticità cerebrale…”

Quindi dove sta il problema? Il problema sta nella metodologia utilizzata per la gestione dei bambini bilingui e nella consapevolezza che gli educatori hanno sulle modalità di apprendimento delle lingue da parte del nostro cervello.

Poiché, come già detto, gli studi sul bilinguismo hanno rilevato che il lessico delle lingue che il bambino sta apprendendo avrà uno sviluppo, per così dire, progressivo e parallelo i cui termini imparati saranno funzione delle esperienze sociali e affettive che il bambino ha avuto in ciascuna di esse (uno studio per tutti: Traute Taeschner – Il Sole è femmina – ed. Dinocroc per l’Università), per valutare le competenze di un bambino bilingue in ciascuno dei due o più idiomi da lui conosciuti è necessario soffermarsi su alcuni fattori:

  1. il contesto in cui il bambino viene quotidianamente a contatto con le diverse lingue; se, ad esempio, il cinese è la lingua di casa e l’italiano la lingua di scuola il bambino avrà un maggior numero di vocaboli riguardanti il vissuto casalingo in cinese ed un maggior numero di vocaboli riguardanti il vissuto scolastico in lingua italiana;
  2. se il bambino è cresciuto in un contesto di bilinguismo “parallelo” o “successivo”; il bilinguismo “parallelo” prevede l’esposizione contemporanea alle due lingue fin dalla nascita, mentre il bilinguismo “successivo” prevede inizialmente l’esposizione ad una sola lingua, generalmente quella parlata nel contesto familiare, e successivamente l’esposizione anche ad una seconda lingua, per esempio la lingua del luogo in cui si vive che normalmente si inserisce “massicciamente” nella vita di un bambino quando questi fa il suo ingresso nella comunità scolastica.

Possiamo trattare tutti i bilingui allo stesso modo? Assolutamente no! Non è possibile, sarebbe come chiedere ad una persona che sa camminare e correre nella media di correre improvvisamente i 100 metri come un velocista! E’ ovvio che le competenze linguistiche di partenza possono essere diverse, ma questo non è un problema in assoluto, semplicemente bisogna tenerne conto quando si prevedono esercitazioni collettive e si stabiliscono gli obiettivi scolastici. Io non scrivo con la stessa competenza in italiano, in inglese ed in francese, eppure sono tre lingue che, posso dire, di conoscere bene. Si scandalizza qualcuno? No. Quanto più vengo a contatto con una lingua tanto più migliora la mia competenza nella produzione orale e scritta. Non è tutto immediato e non tutto è automatico per tutti allo stesso modo.

La cosa che non si deve fare mai è colpevolizzare bambini o famiglie per le competenze linguistiche legate alle proprie origini. Questo, anziché migliorare i risultati dei bambini, li peggiora nettamente. La lingua è cultura, la lingua è condivisione, la lingua è integrazione. La lingua madre si apprende nell’ambito di una stretta relazione affettiva con i genitori, negare ciò o ignorarlo porta a dividere anziché unire, porta a demotivare l’apprendimento, fino ad ingenerare il rifiuto.

Questo non fa il bene degli adulti di domani, questo non fa il bene della società multilingue fortemente auspicata a livello Europeo.

Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento inerente il nesso tra lingua ed integrazione può visitare il sito del progetto UE SOFT Integration.

See you all in the next adventure.


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