23 Aprile 2018 ARTICOLI

Alda Trifiletti

Dottoressa Alda Trifiletti, specializzata in Glottodidattica Infantile alla Sapienza di Roma titolare del centro linguistico The Bilingual Bridge di San Mauro Torinese, insegna inglese a bambini e ragazzi, strutturando percorsi personalizzati e utilizzando il metodo Hocus&Lotus, Jolly Phonics ecc.. , fornisce consulenze agli istituti scolastici per implementare progetti di bilinguismo.

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Linguistica e psicolinguistica nemiche o amiche?

Prima di inoltrarci in questa avventura sul bilinguismo facciamo una premessa di tipo tecnico e descrittivo definendo la differenza tra psicolinguistica, linguistica e i metodi di insegnamento delle lingue che afferiscono all’una oppure all’altra.

La linguistica studia le regole di funzionamento di una determinata lingua e le sue funzioni comunicative, la analizza enunciandone le regole grammaticali che la contraddistinguono;

la psicolinguistica studia il processo mentale di acquisizione di una lingua, come essa si produce, si comprende e percepisce.

La psicolinguistica (e gli studi che negli ultimi trent’anni hanno permesso di capire sempre meglio la funzione cerebrale di acquisizione del linguaggio) si pone come il fondamento dei metodi di insegnamento delle lingue cosiddetti comunicativi. I più efficaci, ormai lo sappiamo, partono dagli stessi presupposti di apprendimento della lingua madre: la lingua si apprende praticandola, la lingua si apprende in full immersion e conseguentemente la grammatica si apprende in maniera implicita attraverso l’utilizzo. Se ci pensiamo bene, infatti, i nostri figli quando inizianola scuola sanno coniugare correttamente i verbi della nostra complessa grammatica italiana solo per averli uditi utilizzare in modo corretto per parecchio tempo e senza porsi il problema di quale modo o tempo stiano usandoquando comunicano.

La linguistica, ossia il processo di analisi consapevole delle strutture grammaticali proprie di una lingua, si pone a fondamento dei metodi di insegnamento basati sull’enunciazione esplicita di regole, talvolta disancorate da un contesto, elenchi ed analisi che portano a comprendere il funzionamento di una linguaanche in assenza di capacità comunicativa spontanea.

Ma tali due approcci di insegnamento devono per forza essere contrapposti in una guerra senza fine oppure esiste tra essi un punto di incontro?

Il punto di incontro esiste ed è più ovvio di quanto non possa sembrare. Basta osservare cosa succede per la lingua madre: prima si acquisisce una competenza comunicativa sufficiente e poi si passa all’analisi consapevole della struttura linguistica. L’approccio psicolinguistico non esclude totalmente quello linguistico, semplicemente lo affianca, lo integra e ne costituisce una sorta di pre-requisito.

Volenti o nolenti questo è il modo in cui gli studi neurolinguistici ci dicono funzioni l’acquisizione linguistica da parte del nostro cervello, ostinarsi ad ignorarlo è come continuare a servirsi della carrozza trainata dai cavalli dopo l’invenzione dell’automobile.

Ovviamente, in base all’età di apprendimento sarà possibile “parametrare” la dose di insegnamento a matrice psicolinguistica e quella di insegnamento a matrice linguistica. Se ho di fronte bambini in età prescolare l’unico insegnamento possibile ed efficace avrà un approccio totalmente psicolinguistico e l’introduzione, non solo dell’analisi grammaticale, ma anche della letto-scrittura in lingua straniera avverrà in un momento successivo e più distante nel tempo. Se invece ho di fronte un gruppo di adulti, pur conservando le caratteristiche della contestualizzazione e della full immersion, l’approccio psicolinguistico tenderà a sovrapporsi a quelli linguistico in un arco temporale più breve.

In ogni caso una cosa va tenuta presente: il processo di acquisizione di una lingua richiede tempo, soprattutto se essa viene praticata poche ore a settimana. Affermare che utilizzando un approccio consapevole e quindi linguistico porti a migliori risultati in tempi rapidi significa andare controcorrente rispetto a tutto ciò che gli studi neurolinguistici vanno affermando negli ultimi trent’anni. E soprattutto significa, per dirla con il neurolinguista Franco Fabbro, “sfornare” eccellenti studenti in lingua straniera, incapaci però di comunicare in quella stessa lingua. Significa, come detto più volte, ridurre una lingua a materia più che a strumento di comunicazione.

See you all in the next adventure!


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