9 Marzo 2017 ARTICOLI

Avv. Maria Ferrara

Titolare dello Studio professionale MF Legal Office che offre assistenza e consulenza legale sia in ambito giudiziario che conciliativo, con particolare riferimento al diritto di famiglia. Appassionata del proprio lavoro e “preda” di un guizzo creativo che la porta alla ricerca continua di nuove esperienze. Riceve su appuntamento nel suo studio di Via Baltimora, 90 a Torino tel. 011/197.193.38

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Il minore compie un danno? E io pago…

Il piccolino gattonando sul terrazzo urta un vaso e lo lascia cadere proprio sulle curatissime gardenie della sig.ra del piano di sotto? Al parco, correndo dietro al pallone, il proprio bambino spintona l’amico che scivolando rompe gli occhiali? Per non parlare di fatti più gravi, come il ragazzo che causa un incidente mentre è alla guida del motorino, talvolta con conseguenze significative per le persone coinvolte; oppure casi, purtroppo frequenti, di liti fra coetanei con tragici epiloghi; in aumento poi storie di aggressione di vario genere e natura –  fisiche, verbali o magari per mezzo del web.

Fatti, purtroppo, di tutti i giorni su cui occorre fare qualche riflessione perché, fatto il danno, ci sono altissime probabilità che siano i genitori a doverne rispondere, con conseguenze economiche a volte molto importanti che finiscono per travolgere tutta la famiglia.

In questa sede ci si riferisce alle conseguenze di tipo risarcitorio del danno provocato, altra cosa è l’eventuale responsabilità penale, quest’ultima è e rimane personale di chi ha commesso il reato, secondo le nome che regolano l’imputabilità dei minori.

Sul piano civilistico il Codice si esprime in questi termini: il padre e la madre o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela che abitano con essi. Parzialmente diverse sono le conseguenze con riferimento al danno causato da figli incapaci, in questo caso i genitori risponderanno, non in qualità di papà e mamma, ma esclusivamente in quanto persone tenute alla sorveglianza dell’incapace con effetti di minore portata.

In entrambi i casi, comunque, i genitori possono liberarsi dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.

Nel proseguo, restringerò le riflessioni all’ipotesi di minore capace, così da evitare discorsi troppo estesi che mal si concilierebbero col breve lasso di questo scritto.

Prima cosa: occorre capire cosa significhi “non aver potuto impedire il fatto”. Le Corti traducono tale dettato nell’onere per i genitori di fornire la prova di aver impartito al figlio un’adeguata educazione e di aver svolto un’opportuna vigilanza.

La prova richiesta, in gergo avvocatesco, la si definisce “diabolica”, perché nella maggior parte dei casi il fatto stesso che il minore abbia compiuto un illecito viene considerato come prova di una carenza nella educazione, ciò risulta tanto più vero quanto più grave è il fatto commesso.

In sostanza il ragionamento è: se fosse stato bene educato, mai si sarebbe comportato così.

Nella pratica, dunque, sono pochi i casi in cui i genitori riescono ad esimersi dal rispondere dei danni dei provocati dai propri figli.

Una puntualizzazione doverosa riguarda l’età del minore, in giurisprudenza vengono fatti gli opportuni distinguo a seconda che ad aver commesso il fatto sia un bambino piuttosto che un ragazzo prossimo a compiere la maggiore età.

Per i minori prossimi al raggiungimento della maggiore età, in linea generale, l’orientamento delle Corti è nel senso di pretendere la stessa condotta esigibile da un adulto; posizione che spesso porta i Giudici a ritenere responsabile solo il minore, con esenzione per i genitori.

Nelle ipotesi di danno prodotto da un minore dell’età di mezzo (riferibile tendenzialmente alla fascia di età tra i 12 e 16 anni), dai giudizi delle Corti traspare una particolare attenzione nei riguardi delle caratteristiche soggettive del minore. Il giudizio potrà concludersi con la condanna (anche esclusiva) del minore, solo là dove per lo sviluppo psicofisico raggiunto, ovvero data la particolare maturità, dimostri di essere in condizione di “badare a se stesso”.

Quanto ai bambini in tenera età, sono da considerarsi incapaci e, pertanto, in questi casi si applicherà il diverso regime cui accennavo prima.

Altro requisito richiesto dalla norma, affinché il genitore possa essere chiamato in causa, è la coabitazione del minore con il genitore. Tale requisito è stato variamente interpretato, a volte, in senso molto formale e rigoroso come “rapporto di stabile convivenza  (lettura seguita dalla giurisprudenza maggioritaria); altre volte, si è riconosciuta la coabitazione anche in ipotesi di semplice convivenza occasionale. Sul punto, dunque, non c’è grande certezza.

I discorsi fatti, principalmente quello sulla coabitazione, portano inevitabilmente a domandarsi che cosa accada nei casi di separazione e divorzio in cui il minore sia stato affidato ad uno solo dei genitori o quando, per una serie di circostanze (di lavoro, di distanza ecc.), il genitore non collocatario frequenti il figlio solo occasionalmente (dunque parrebbe venir meno il presupposto dalle coabitazione).

L’orientamento della giurisprudenza (peraltro piuttosto scarsa) è stato perlopiù nel senso di ritenere che il difetto (legittimo) di coabitazione riscontrabile con riguardo al genitore non affidatario, determini una concentrazione della responsabilità sul genitore al quale il minore era affidato.

Ma ultimamente vi è stata qualche apertura basata sul fatto che l’art. 155, 3° comma, c.c. riconosce al coniuge non affidatario il diritto e il dovere di vigilare sull’istruzione ed educazione del figlio oltre al diritto dovere di ricorrere al Giudice qualora ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al suo interesse.

Secondo questa visione, sebbene ancora minoritaria, pure il genitore non affidatario potrebbe essere chiamato in causa ex art. 2048 c.c., soprattutto quando l’illecito sia da mettere in connessione con un’attività consentita al minore a seguito di una decisione assunta congiuntamente dai genitori.

Infine, sul tema è altresì importante precisare che per giurisprudenza dominante, l’affidamento dei figli minori a terzi (insegnanti, istruttori, datori di lavoro) non esclude la responsabilità dei genitori per il fatto illecito commesso dai figli.

Alla luce degli spunti dati, considerato che la posizione dei genitori è certamente molto delicata, può essere opportuno valutare delle forme di tutela assicurativa, ma ci si deve accertare che siano effettivamente valide e idonee allo scopo, magari facendosi aiutare nella scelta da un legale esperto in diritto assicurativo.


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