La strada per giungere alle capacità cognitive prende avvio dalle emozioni; gradualmente lascia il posto al pensiero, e la stessa intelligenza rappresentativa, che a poco a poco si sviluppa, dipende in modo evidente dall’azione.
Il bambino, a partire da un necessaria esperienza di sé, in modo del tutto originale, avvia la conoscenza delle cose, degli altri, del mondo esterno, mediante l’azione.
In altre parole, osserva F. Cartacci (F. Cartacci, Bambini che chiedono aiuto), “se l’attività psichica è la pianta, il movimento non è uno strumento come la zappa, neanche un elemento indispensabile come la terra o l’acqua, ma è il seme stesso della pianta”.
Il movimento può essere stereotipato, apparentemente senza inizio e fine, come accade nelle psicosi, ove si manifesta in modo evidente il difficile o impossibile contatto con il mondo.
Anche il movimento continuo nelle ipercinesie, o il movimento bloccato nelle inibizioni, assumono significato di difficoltà, per l’individuo, nella relazione con il mondo.
In tale ottica l’intervento psicomotorio appare un approccio terapeutico adeguato, sebbene occorra valutare ogni intervento nella propria originalità. Lo psicomotricista, difatti, è uno specialista della relazione corporea, di cui conosce il linguaggio, il codice non verbale dei segnali, la lettura dell’espressività gestuale.