16 Giugno 2016 ARTICOLI

Alda Trifiletti

Dottoressa Alda Trifiletti, specializzata in Glottodidattica Infantile alla Sapienza di Roma titolare del centro linguistico The Bilingual Bridge di San Mauro Torinese, insegna inglese a bambini e ragazzi, strutturando percorsi personalizzati e utilizzando il metodo Hocus&Lotus, Jolly Phonics ecc.. , fornisce consulenze agli istituti scolastici per implementare progetti di bilinguismo.

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Quanto osiamo portare i nostri figli in vacanza all’estero?

Solitamente giugno è un mese in cui questa rubrica viene dedicata alle attività che si possono svolgere  durante l’estate per non perdere quanto linguisticamente acquisito nel corso dell’anno scolastico oppure per dedicare il tempo della vacanza ad imparare/rafforzare una seconda lingua.

Così ho fatto precedentemente nell’articolo sul Bilinguismo fuori dalle mura domestiche: le scuole e le vacanze e Bilinguismo in Vacanza: strategie per continuare con i bambini l’avventura, quest’anno invece vorrei concentrarmi su una questione che di primo acchito può apparire secondaria, ma che in realtà gioca un ruolo fondamentale sull’aspetto motivazionale e psicologico destinato a spingere il bambino ad un approccio positivo per la lingua straniera.

Anche questa volta, come di consueto, partiremo da esperienze concrete e dall’imitazione, perché una lingua “vera” non si impara stando seduti ad un banco, ma si impara con l’esperienza diretta, attraverso l’imitazione e, ancora una volta, partiremo con una domanda rivolta a noi genitori: quanto i nostri figli ci vedono parlare in lingua straniera o affrontare situazioni in lingua straniera? Quanto li abbiamo portati in vacanza in Paese straniero e siamo davvero stati in contatto con una realtà straniera?

Portare i figli in vacanza all’estero, possibilmente non in un villaggio turistico italiano, suscita curiosità, genera scoperta e rinforza il desiderio di saper comunicare anche con chi parla un codice linguistico diverso. E’ una questione di apertura mentale, prima ancora che di competenza linguistica in senso stretto, che crea terreno fertile per seminare il germe del multilinguismo come direbbe una mia cara collega!

Di recente sono stata a Parigi con la famiglia; i miei figli non parlano francese, tuttavia il più grande (8 anni e mezzo) cercava di arrangiarsi nelle situazioni più comuni che si trovava a fronteggiare imitando me e quindi apprendendo qualche parola-chiave del vocabolario francese per poi abbinarla all’inglese. Quando proprio non sapeva che pesci pigliare diceva: “I don’t speak French” e l’interlocutore sfoderava l’inglese. Io lo osservavo e notavo che non aveva paura a chiedere informazioni rispetto ad una giostra, oppure per ordinare la cena, in altre parole si arrangiava per raggiungere l’obiettivo comunicativo. Per i bambini tutto ciò è abbastanza istintivo ed immediato, senza che qualcuno debba dilungarsi in spiegazioni astruse.

Questo è un esercizio psicologico importante per i nostri figli. Non importa se siamo in Russia, in Arabia o nel Regno di Sua Maestà, se conosciamo la lingua del luogo o se dobbiamo ricorrere all’inglese oppure alla comunicazione mimico-gestuale. La cosa fondamentale è capire che esistono milioni di persone al mondo che non parlano la nostra lingua, che mangiano cibi diversi, hanno usi e costumi differenti da quelli cui siamo abituati, che viaggiare per scoprirli è un’avventura meravigliosa e se vogliamo intraprenderla con maggior facilità è davvero necessario parlare altre lingue!

Nessun altro se non noi genitori possiamo veicolare questa spinta, accendere questa curiosità e fortificare la motivazione nei confronti dell’apprendere.

Viaggiare con i bambini è una gran fatica fisica, ma anche fonte di grandi soddisfazioni! Tornano diversi da come sono partiti! Sempre!

Approfittiamone nel corso delle prossime vacanze. Il mondo è vasto e, per fortuna, le nuove tecnologie ci permettono di viaggiare con soluzioni impensabili 20 anni fa contenendo i costi.

Vi auguro una buona estate, ricca di avventure multilingui!

See you all in the next adventure!


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