E’ bene ricordare che la legge impone ai coniugi doveri precisi: assistenza morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia, coabitazione e fedeltà. La violazione di tali obblighi può dare luogo non solo alla richiesta di separazione ma anche all’istanza di addebito della stessa a carico del coniuge di cui si prova la colpevolezza, con tutte le relative conseguenze, prima fra tutte la perdita del diritto all’assegno di mantenimento (art. 156 cc).
Dunque, come si usa dire, la domanda sorge spontanea. Quando tali ingerenze nella privacy del coniuge sono da considerarsi prove legittime e quando invece sfociano in condotte vietate dalla legge?
Il tema è vasto, analizziamo alcuni punti:
1) Il valore probatorio delle Lettere confidenziali tra i coniugi
Le lettere confidenziali che i coniugi si scambiano durante il loro rapporto coniugale possono essere utilizzate nel successivo eventuale giudizio di separazione o divorzio?
La questione è arrivata nelle aule di giustizia.
Si pensi, ad esempio, a quanto deciso dalla Cassazione con la sentenza numero 7998 del 4 aprile 2014: i giudici di legittimità si sono confrontati con una vicenda in cui una donna aveva prodotto in giudizio una lettera che le aveva inviato l’ex marito quando ancora il loro rapporto non era naufragato. In essa, infatti, l’uomo aveva riconosciuto le sue mancanze nei confronti della donna, la quale aveva quindi sperato che tramite le parole scritte dall’ex avrebbe potuto ottenere l’addebito.
I giudici, hanno stabilito che il contenuto della lettera non può essere interpretato come una confessione: il marito avrebbe, infatti, potuto anche decidere di utilizzare certe parole solo al fine di tentare la riconciliazione. Ciò non toglie che una simile lettera possa essere considerata come indizio e, in quanto tale, le informazioni in essa contenute saranno valutabili dal giudice liberamente.
2) La corrispondenza privata dell’ex coniuge
Diverso è il caso in cui la corrispondenza che si intende produrre in giudizio non è quella tra coniugi ma quella tra il coniuge e una terza persona. In una simile ipotesi il pericolo che si corre è quello di essere condannati penalmente.
L’articolo 616 del codice penale sanziona, infatti, il reato di violazione, sottrazione o soppressione di corrispondenza.
Va precisato che, per la legge, i messaggi di posta elettronica (email, messanger, skype etc.) e gli sms sono veri e propri mezzi di corrispondenza e che, come tali, non possono essere violati in alcun modo al pari della posta cartacea.
Di fondamentale importanza su questo tema è distinguere tra sede penale e sede civile (procedimento di separazione o divorzio).
Il fatto che una determinata condotta sia lesiva della privacy altrui e dunque passibile di denuncia penale, non vale ad escludere la possibilità, da parte del partner “tradito”, di impiegare le prove dell’infedeltà raccolte nel giudizio di separazione.
In sede civile è, infatti, rimessa al Giudice la valutazione circa l’ammissibilità o meno della prova acquisita in violazione della riservatezza del coniuge. La corrente di pensiero prevalente tende ad ammettere le prove acquisite in modo illecito se tale metodo era l’unico e il solo per esercitare il diritto di difesa e, cioè, per sostenere la domanda di addebito della separazione a carico dell’altro.
Occorre quindi ricordare che vi sono diversi mezzi a disposizione delle parti per contestare le pretese avversarie o per provare una determinata circostanza, ad esempio: l’ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ. e il sequestro ex art. 669 bis e seguenti cod. proc. civ., e che il ricorso a mezzi che violano i diritti altrui è da considerarsi rimedio estremo da utilizzare con cautela.
3) Immancabile un accenno ai Social
Tanta cautela andrebbe utilizzata anche nell’approccio ai Social. Alcune recenti pronunce dei Tribunali sembrano ritenere che tutto ciò che viene inserito dall’utente sul proprio profilo sociale sia ampiamente utilizzabile in giudizio e non sia coperto dalla tutela garantita dal D.l. 196/2003. Secondo questa corrente di pensiero, indipendentemente dalle scelte dall’utente nell’impostazione dell’accesso al profilo, tutte le informazioni e le fotografie pubblicate da quest’ultimo non sono assistite dalla segretezza, che caratterizza invece quelle contenute nei messaggi scambiati utilizzando il servizio di messaggistica o di chat. Infatti, solo queste ultime possono essere assimilate a forme di corrispondenza privata e ricevere la massima tutela sotto il profilo della loro divulgazione, mentre quelle pubblicate sul proprio profilo social, in quanto già dì per sé destinate ad essere conosciute da terzi, anche se rientranti nella cerchia delle c.d. “amicizie” del social network, non possono ritenersi assistite da tale protezione.
Si attendono, sul punto, precisazioni e direttive da parte della Cassazione.
Nel frattempo, meglio star all’occhio e rammentare che la celebre frase “tutto ciò che dirai (e, dunque, potremmo aggiungere, che pubblicherai o messaggerai) potrà essere usato contro di te in Tribunale” , ahimè, non è solo un retaggio cinematografico!
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