11 Aprile 2016 ARTICOLI

Alda Trifiletti

Dottoressa Alda Trifiletti, specializzata in Glottodidattica Infantile alla Sapienza di Roma titolare del centro linguistico The Bilingual Bridge di San Mauro Torinese, insegna inglese a bambini e ragazzi, strutturando percorsi personalizzati e utilizzando il metodo Hocus&Lotus, Jolly Phonics ecc.. , fornisce consulenze agli istituti scolastici per implementare progetti di bilinguismo.

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Il bilinguismo consecutivo: quando la seconda lingua si impara dopo i tre anni

Abbiamo dedicato l’articolo scorso alle potenzialità di apprendimento delle lingue proprie della fascia di età compresa tra gli zero ed i tre anni ed alle ragioni per cui è importante iniziare, proprio durante questo periodo, ad esporre i bambini a più idiomi. In questo articolo ci occuperemo di analizzare cosa succede dopo i tre anni.

 

In particolare come si modificano i meccanismi di apprendimento delle lingue seconde o terze (che si aggiungono a quella madre) in età prescolare, compresa tra i tre e sei anni?

Premettiamo che questa fascia di età è ancora ottima per iniziare ad imparare una seconda lingua, tuttavia vi sono delle differenze rispetto alla fascia di età esaminata in precedenza che è opportuno tenere in considerazione sia come genitori, sia come insegnanti se vogliamo ottenere buoni risultati di acquisizione linguistica da parte dei bambini.

Troppo spesso infatti ci si dimentica che se iniziamo ad esporre un bambino ad una seconda lingua in modo massiccio dopo i tre anni, perché magari ci siamo trasferiti all’estero o perché lo iscriviamo ad una scuola dell’infanzia internazionale, non è come se il bambino fosse nato nella situazione di bilinguismo. Ciò in quanto ci sono quei tre o più anni in cui il bambino ha sviluppato grandi competenze in lingua madre, aspetto che, volenti o nolenti, dobbiamo tenere in considerazione nel momento in cui lo “immergiamo” in una realtà che funziona con un codice linguistico diverso. Il fatto di credere che per il bambino sarà tutto più semplice rispetto ad un adulto è vero finché ci riferiamo alla plasticità fonologica e cerebrale di acquisizione del linguaggio che hanno i bambini di quella fascia d’età rispetto agli adulti, molto meno vero se il termine di paragone riguarda l’aspetto psicologico.

Pensiamo a come ci sentiremmo se dopo aver finalmente imparato ad esprimerci con una certa padronanza, riuscendo a fare capire i nostri bisogni alle persone che ci circondano,  all’improvviso e senza che nessuno ce lo spiegasse, fossimo catapultati in una realtà in cui torniamo ad essere verbalmente incompetenti!

I bambini ovviamente non hanno le nostre stesse capacità razionali e potrebbero arrivare a rifiutare psicologicamente questa situazione a discapito dell’apprendimento della seconda lingua.

In questi casi è fondamentale lavorare, tanto a livello familiare quanto scolastico, sulla motivazione. In famiglia, in previsione dell’iscrizione alla una nuova scuola internazionale o del trasferimento, è opportuno iniziare ad introdurre delle semplici letture ad alta voce in lingua straniera con il supporto di grandi immagini illustrate, in modo da facilitare la comprensione da parte del bambino, introdurre dei giochi in quella lingua motivandoli con delle storie fantastiche che lo incuriosiscano, guardare la TV in lingua straniera o munirsi di cartoni animati in quella lingua.

Tutto ciò deve essere fatto in maniera graduale, con molto affetto, molta pazienza e senza utilizzare MAI la traduzione.

Dal punto di vista didattico invece, l’insegnante deve avere ben presente il fatto di avere a che fare con casi di bilinguismo consecutivo e non simultaneo (bambini esposti a due lingue fin dalla nascita), quindi deve fare accettare la nuova lingua attraverso l’instaurazione di una buona relazione affettiva con il bambino ed utilizzare metodi di insegnamento che accompagnano il linguaggio a tecniche di comunicazione non verbale: i gesti, la mimica facciale, le immagini.

E poi c’è un altro aspetto fondamentale da tenere in considerazione da parte di tutti gli adulti che circondano il bambino: le aspettative riguardanti le tempistiche di apprendimento.

Per quanto i bambini, sempre in virtù della plasticità fonologica e diciamo impropriamente cerebrale, apprendano in fretta, consideriamo quanto ci hanno messo per imparare a comprendere e ad iniziare esprimersi in lingua madre: 12 mesi? 15 mesi? 17 mesi?

Ecco aspettiamoci lo stesso percorso (sia in termini di capacità di comprensione che di produzione linguistica) e più o meno le stesse tempistiche in funzione dei tempi di esposizione alla seconda lingua. Va da sé che se prendiamo in considerazione il caso del bambino che si traferisce all’estero i tempi di apprendimento della lingua del luogo, in assenza di grossi traumi psicologici, sarà più breve; mentre nel caso dell’iscrizione di un bambino alla scuola internazionale, i tempi di apprendimento si allungheranno perché l’ambiente esterno continuerà a “viaggiare” in lingua madre.

Infine, ma non di minore importanza, tutti gli adulti che circondano il bambino bilingue dovrebbero avere la consapevolezza del fatto che una lingua si apprende per ripetizione. Nei bambini il primo linguaggio acquisito è quello relativo ad esperienze routinarie, la stessa cosa succederà per la seconda lingua.

Facciamo attenzione che nell’arco della fascia di età 3-6 anni tutte le criticità psicologiche, attitudinali e metodologiche fino ad ora esaminate aumentano con l’aumentare dell’età anagrafica dei bambini.

Concludiamo dicendo che la fascia di età esaminata in questo articolo è ancora ottima per l’apprendimento delle lingue straniere semplicemente serve qualche accorgimento e qualche consapevolezza in più d parte coloro che circondano i bambini e concorrono alla loro crescita bilingue.

See you all in the next adventure!

 


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