9 Maggio 2016 ARTICOLI

Alda Trifiletti

Dottoressa Alda Trifiletti, specializzata in Glottodidattica Infantile alla Sapienza di Roma titolare del centro linguistico The Bilingual Bridge di San Mauro Torinese, insegna inglese a bambini e ragazzi, strutturando percorsi personalizzati e utilizzando il metodo Hocus&Lotus, Jolly Phonics ecc.. , fornisce consulenze agli istituti scolastici per implementare progetti di bilinguismo.

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Bambini bilingui in eta’ scolare

bambini bilingui età scolare

Sulla scia degli articoli precedenti dedicati rispettivamente alle caratteristiche dell’apprendimento delle lingue nel corso dei tre primi anni di vita ed alle peculiarità che intervengono nella successiva fascia di età prescolare, ci focalizzeremo ora sull’analisi delle ulteriori modifiche nei meccanismi di apprendimento delle lingue nei bambini di età scolare fino agli 11 anni.

A partire dai 6 anni di vita del bambino e comunque dal suo ingresso alla scuola dell’obbligo vi sono tre ordini fattori che influiscono sulle modalità di apprendimento di un secondo idioma: il primo ordine attiene alle caratteristiche fisiologiche di evoluzione delle capacità cognitivo-cerebrali, il secondo ordine riguarda la propensione psicologica del bambino ed infine il terzo ordine concerne l’attitudine psicosociale dettata dal contesto culturale e scolastico in cui il bambino è entrato a far parte.

Per quanto riguarda il primo ordine di fattori, riscontriamo senz’altro una lenta, inesorabile e progressiva perdita della plasticità fonologica, cioè della innata capacità di distinguere e riprodurre qualsiasi suono cui siamo esposti. Tale capacità è massima alla nascita per poi perdersi fino a diventare, in età adulta, molto difficoltoso distinguere e riprodurre suoni mai sentiti: ci vuole molto esercizio ed il risultato difficilmente risulta completamente naturale. Ecco perché chi diventa bilingue dopo i vent’anni raramente riuscirà a perdere l’accento della lingua madre. Questo processo di “chiusura” dei canali fonologici è già pienamente in atto nel corso della scuola primaria. Chi fa dell’insegnamento delle lingue ai bambini la propria professione lo riscontra chiaramente nell’ambito di quei 5 anni scolastici: c’è una grossa differenza tra i bambini di 6 anni e quelli di 11.

Rispetto alla propensione psicologica di un bambino che si accosta ad una seconda lingua dopo i 6 anni siamo di fronte ad un individuo che ha acquisito ampia padronanza della lingua madre, nella quale sa esprimere quasi tutti i suoi bisogni (almeno quelli che è in grado di verbalizzare) e può ricevere risposta adeguata sia dagli adulti che dai suoi pari. Tale competenza fornisce al bambino una certa sicurezza e laddove egli venga catapultato in una realtà che utilizza un diverso codice linguistico il suo adattamento sarà più difficoltoso di quello del bambino duenne o quattrenne con ben minori capacità di comprensione e produzione in lingua madre. Di conseguenza è necessario focalizzare l’attenzione sulla motivazione psicologica ed al suo sostegno nel caso ci dovessimo trasferire in un paese straniero con figli in età da scuola primaria, ma anche nel caso in cui decidessimo di iscrivere nostro figlio ad una scuola primaria bilingue. Attenzione che la motivazione dovrà essere comprensibile per il bambino: il fatto, ad esempio, che l’inglese possa essere utile per il suo futuro non risulterà né convincente, né di grande aiuto!

Per quanto concerne il terzo ordine di fattori, cioè quello riguardante il contesto scolastico, esso ha una grande influenza non solo sull’acquisizione delle competenze linguistiche, ma anche sulla percezione delle modalità di apprendimento.

I bambini che hanno le prime esperienze di lingua straniera in ambito scolastico con una metodologia tradizionale, basata sullo studio dei vocaboli per categorie (talvolta ancor peggio per traduzione) e soprattutto utilizzando le stesse modalità simbolico-ricostruttive impiegate per trasmettere quasi tutte le altre materie, non sono per nulla pronti a confrontarsi con un contesto in cui la seconda lingua è usata per comunicare davvero oppure in cui la lingua è insegnata con metodi di stampo psicolinguistico basati fortemente sull’esperienza diretta (modalità percettivo-motoria). Per approfondimenti confrontare F. Antinucci, “La scuola si è rotta” ed. Laterza.

Comprendere che le lingue (ma forse anche altre materie) si imparano meglio e in maniera più efficace non seduti ad un banco con una scheda illustrata davanti a sé, ma attraverso l’esperienza diretta prevede un cambiamento di schema cui i bambini devono abituarsi. Questo accade ad esempio laddove i bambini vengono inseriti in contesti in cui la lingua straniera si insegna in modo naturale con attività volte a massimizzare la capacità di espressione prima della scrittura, esattamente come avviene per la lingua madre.

Dal punto di vista socio-culturale quanto noi stessi genitori siamo pronti ad abbracciare questo cambiamento di paradigma?

See you all in the next adventure!


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