3 Aprile 2012 L'ESPERTO RISPONDE

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Bimbo podalico

Buongiorno, sono una mamma di 34 anni, alla sua terza gravidanza. Ho due bimbe di 5 e 2 anni. Questa gravidanza non era cercata, ma una volta accertata, con innegabili paure e ansie per la gestione famigliare, non abbiamo avuto dubbi sull’accogliere un terzo figlio. Abbiamo scelto di non conoscerne il sesso.

Adesso sono alla 35esima settimana di gravidanza con il bimbo ancora in posizione podalica, come è fin dall’inizio. Questa cosa mi sta facendo soffrire molto, lo sto leggendo come un rifiuto, come una mia incapacità comunicativa, forse perchè sono satura di impegni con le altre due bimbe e fatico a dedicare del tempo al procedere della gravidanza. Ho sentito parlare del bonding prenatale (si chiama così?), ovvero della relazione madre/figlio già nell’utero materno e vorrei davvero approfondire l’argomento… esistono esperti in tale senso in Provincia di Torino?

Piuttosto che tentare manovre più o meno invasive per costringere il bimbo a girarsi, preferirei capire se c’è un modo di creare un dialogo con il mio bambino.

Grazie se saprete aiutarmi!

Cara mamma,
mi rendo conto che la nascita di un terzo figlio possa provocare, come lei stessa dice, delle paure e delle ansie. Ma l’arrivo di un bambino non è solo questo, dovrebbe provare a spostare la sua attenzione e quindi la sua emotività sugli aspetti carichi di gioia, che accompagnano questo meraviglioso evento. Mi rendo anche conto che dedicare del tempo alla gravidanza in corso, con due bambine così piccole, sia complicato. Provi comunque a ritagliarsi del tempo, anche la sera a letto prima di addormentarsi può creare un dialogo col suo bambino, magari con la complicità del papà.
Può accarezzare la pancia, parlare al bambino, ascoltare della musica, leggergli un libro, insomma costruire una relazione prenatale.
A questo proposito, la prima vera descrizione di un investimento affettivo specifico verso il bambino atteso, si deve a Winnicott (1958) che definì preoccupazione materna primaria quello speciale tipo di coinvolgimento esclusivo e così intenso da sembrare una forma passeggera di follia, che le madri sviluppano verso i loro bambini. Si tratta di una condizione straordinaria, che ha il suo apice verso la fine della gravidanza e si protrae fino a poche settimane dopo la nascita del bambino, che è simile ad
uno stato di ritiro e di dissociazione, contraddistinto da un’elevatissima sensibilità.
Tale condizione non è comune a tutte le donne ed è un indicatore importante del loro rapporto con il bambino. La madre sana, infatti, è quella che riesce a vivere questa condizione, che ha i caratteri
di una malattia normale, ed è quella che, in forza della medesima sensibilità, risulta capace di anticipare, di interpretare, di provvedere tempestivamente ed efficacemente ai bisogni del bambino e, in questo modo, di determinare le condizioni necessarie allo sviluppo pieno delle sue dotazioni innate.
Negli ultimi vent’anni l’attaccamento dei genitori verso il feto è stato studiato in modo sempre più preciso e sistematico, fino ad arrivare alla definizione di attaccamento prenatale e alla relativa area di
studio.
Si è constatato come lo sviluppo nella psiche materna di un’area di pensieri, emozioni, sentimenti, fantasie, cure ed attenzioni rivolte al feto, costituisca la base per la costruzione della futura relazione di attaccamento madre-bambino.
Adesso però non posso dilungarmi sull’argomento di per sé ricchissimo di informazioni.

Tornando a lei, dalla sua domanda traspare ansia e preoccupazione e soprattutto senso di colpa, perché non riesce a trovare il tempo per “pensare” a questa gravidanza e a questo bimbo in arrivo.
Soffre molto, come lei stessa scrive nella lettera, e attribuisce a sé la responsabilità di un’incapacità
comunicativa. Le ripeto, cerchi di trovare del tempo, quando le bambine sono a scuola, se frequentano, quando dormono e soprattutto cerchi l’appoggio nei familiari o nelle amiche per un aiuto pratico, dall’accudimento delle bambine alla pulizia della casa.
Cerchi di ricavarsi del tempo, piuttosto pulisca meno la casa: se lei è più serena e il pavimento un po’ più sporco … pazienza. Suo marito non riesce a darle una mano?
Per quanto concerne invece la posizione del bambino e la sua domanda specifica circa il bonding prenatale, posso dirle che il termine inglese “bonding” significa legame, attaccamento e definisce un processo, in parte cosciente, in parte inconscio, attraverso cui bambino e genitori si collegano in una relazione intima, caratterizzata soprattutto dal dialogo.
Ho potuto personalmente verificare, nei miei corsi di accompagnamento alla nascita e nei gruppi di sostegno a future mamme e neomamme, quanto sia importante cercare di potenziare gli aspetti inerenti la relazione, aiutando le mamme a comunicare e dialogare positivamente con il proprio bambino già durante la gravidanza. E ho potuto notare personalmente come anche il parto e l’allattamento ne beneficeranno.
Nel caso specifico di presentazione podalica del bambino, esiste una tecnica, chiamata analisi del bonding, che potrebbe permettere alla madre stessa di intervenire per promuovere la rotazione attraverso il dialogo.
Sempre secondo questa tecnica, che io conosco solo a livello teorico, parrebbe che la posizione che il bambino assume nell’utero sia strettamente ricollegabile alla qualità della relazione madre-figlio e, quindi, all’atteggiamento interiore ed al tipo di esperienze vissute dalla madre e trasmesse al bambino durante la gravidanza.
Secondo quanto dicono gli esperti di analisi del bonding, sembrerebbe che i bambini assumano la posizione di podice quando nella storia della madre o della sua famiglia, ci siano state minacce di aborto, interruzioni spontanee della gravidanza, parti cesarei: sembra che queste madri abbiano paura di perdere il bambino e pertanto gli inviino più o meno consapevolmente il messaggio di stare fermo, di non muoversi, di non abbandonarle. Altri bambini restano seduti e non vogliono uscire a causa di sfavorevoli circostanze esterne che influiscono sull’umore materno. Alcuni voltano la schiena alla madre o all’esterno quando hanno vissuto situazioni conflittuali con lei o con l’ambiente.

Per quanto concerne la presenza di esperti che praticano l’analisi del bonding per favorire la rotazione del feto in Torino e provincia, mi sto attivando. Le farò sapere, appena riceverò delle risposte.

È bene precisare in ultima analisi che non sempre è possibile promuovere la rotazione che porterà il feto ad assumere la posizione cefalica, perché talvolta esistono degli impedimenti reali, connessi al posizionamento della placenta, del cordone, alla lunghezza di quest’ultimo, alla scarsità di liquido amniotico, alle dimensioni del bambino rispetto allo spazio disponibile etc.
Chieda al suo ginecologo di verificare che non ci siano di questi impedimenti.

In ultima analisi, il mio consiglio è di dedicare più tempo a lei, alla sua gravidanza e alla creatura che porta in grembo, scremando alcune delle attività giornaliere. Cerchi di dividere equamente il tempo tra le sue bimbe e il bimbo/a in arrivo, perché tutti e tre sono reali, anche se quest’ultimo “non lo vede”, ma lo sente. E soprattutto cerchi di scrollarsi di dosso sensi di colpa, paure, ansie: non fanno bene a lei, al feto e alla sua famiglia.
Mi rendo conto che da sola è difficile, ma con l’aiuto di qualcuno (persone care e/o professionista) ce la può fare.
Saluti dalla psicologa

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