Gentile mamma,
suo figlio è ancora molto piccolo, non ha altri strumenti per comunicare che non sia il pianto, ma questo non fa delle sue lacrime una comunicazione semplificata.
La sua è ricerca innanzitutto di sicurezza, visto che si trova a vivere in un mondo che non conosce affatto: cosa sono l’attesa, le coliche o la fame? Perché esistono? E cosa posso farci io che sono così piccolo?
Il rapporto che avete da quando è nato è talmente stretto e fisico che è attraverso altri canali che passano le cose che vorreste dirvi, uno è il pianto, un altro è la colica, un terzo è la sua agitazione.
Immaginiamo la rivoluzione che ha portato nella sua vita questa nascita, dirsi “stressata” è anche poco, e il suo bambino sta provando a darle una mano.
Vorrebbe dirle magari “mamma, se sei stanca, lascia che possa stare con qualcun altro, così ricarichi le tue energie e posso tornare da te senza che io ti agiti troppo. Lo so che è difficile non innervosirsi, ma forse se chiediamo aiuto insieme, possiamo stare meglio.”
Gentile signora, prenda fiato, se è agitata, non si forzi a stare con il bambino, cerchi di creare uno spazio per pensare: in che senso peggiora la situazione quando lo sente piangere? Quali sono i pensieri che le vengono in mente? Che motivi vorrebbe capire?
Freud diceva che quello del genitore è un mestiere impossibile, lei ha avuto il coraggio di lanciarsi in quest’avventura, suo figlio prova a darle una mano come può.
Le facciamo tutti i nostri auguri.